Cari amici ridenti,
sono Cinzia Perrotta, educatrice e Teacher di Yoga della Risata, e proseguo con la mia rubrica sullo Yoga della risata in carcere.
L’idea che l’interazione tra i detenuti possa generare solo problemi, e non scambi vicendevolmente arricchenti, è uno di quei fili conduttori che rappresenta la storia del carcere come Istituzione totale: un’istituzione è totale quando ha un potere particolarmente inglobante sull’individuo (Goffman, 1961).
Con ciò intendo dire che troppo spesso il carcere cerca di isolare il detenuto in modo che non contagi negativamente gli altri, come se fosse portatore di qualcosa di distruttivo o patologico, di un demone. E’ così che in passato durante il lavoro non si doveva parlare coi colleghi detenuti, disconoscendo la natura sociale del lavoro.
E’ così che, anche per piccole cose, si adotta la misura dell’isolamento, e non subito dopo aver commesso il fatto (l’elemento di disturbo da punire), bensì, anche dopo settimane, aspettando il proprio turno per l’isolamento, perché c’è la fila.
Le celle di isolamento vengono preferite (se non fosse per il sovraffollamento) perché c’è bisogno di meno personale di polizia penitenziaria a controllare (non si fanno le risse da soli), ed è così che ancora oggi l’isolamento è la forma di punizione più ricorrente, forse ancora influenzati da tesi ormai apparentemente e razionalmente passate, secondo cui l’isolamento risolve tutti i problemi carcerari, perchè permette il silenzio e la preghiera favorendo il processo introspettivo per ravvedersi, pentirsi e riformarsi.
«Gettato nella solitudine, il condannato riflette. Posto solo, in presenza del suo crimine, impara ad odiarlo, e se la sua anima non è ancora rovinata dal male, è nell’isolamento che il rimorso verrà ad assalirlo» Foucault.
Filosofia del Dr. Kataria: “Quando ridi tu cambi, e quando cambi il mondo cambia insieme a te”.
Questo mi ha portato a riflettere che è vero, l’incontro con l’altra persona ci condiziona, le persone propagano il loro essere anche contagiando positivamente gli altri; in senso positivo dunque, l’incontro con l’altro ci può rendere migliori, ci può cambiare, ci può insegnare molto.
Vieni a darci il tuo contributo.
Nel bene e nel male mi insegnerai qualcosa, anche tu, detenuto o meno. Namastè, mi inchino al divino che c’è in te.
Mi faccio la mia galera
“Mi faccio la mia galera”.
Questa frase è molto comune, l’ho sentita dire spesso tra i detenuti e indica una sensazione di passività e rassegnazione: farsi la propria galera significa semplicemente aspettare che finisca, il tempo non passa mai, ma intanto bisogna cercare di evitare guai, scontri, disavventure, complicazioni.
E’ molto lontana l’idea di utilizzare questo periodo più o meno lungo per continuare a crescere, come tempo dell’apprendimento, come progettazione di percorsi di vita.
Allora se mi devo semplicemente fare la galera, cerco di non affezionarmi, di non fidarmi, di non aprirmi, di non farmi coinvolgere da chissà chi; mi faccio i fatti miei, non mi riguarda altro, non mi sforzo di capire gli altri e farmi capire da loro….
“Non voglio partecipare alle attività e a Yoga della Risata, perchè è meglio stare da soli. Preferisco non parlare con nessuno”.
Club di Yoga della Risata in carcere
Quante volte abbiamo chiuso a doppia mandata le nostre emozioni e i nostri sentimenti, reprimendoli, negandoli, cercando di buttare via la chiave?
Adesso basta… cominciamo… giriamo per la stanza e ci incontriamo tra noi, perchè abbiamo una forte volontà di incontrarci, di stabilire un contatto visivo, comunichiamo guardandoci negli occhi, negli occhi di chi ho di fronte vedo la stessa gioia che provo io per aver fatto quell’incontro. Ogni incontro è unico, formativo, meraviglioso, è possibilità e emozione.
Piuttosto che farsi ognuno la sua galera, ci si fa una risata insieme al Club, e alla galera si sopravvive insieme.
In troppi modi il carcere, come disse Vincenzo Ruggiero nel 1989, è una fabbrica di handicap. L’ansia e l’aspettativa che derivano dalle numerose forme di isolamento ad esempio, si manifestano poi in difficoltà relazionali anche durature.
Si altera la personalità e si perde l’identità individuale, non solo si viene spogliati dei propri oggetti personali appena si entra, quello è solo l’inizio di una perdita che riguarda tutto il Sé e le normali dinamiche relazionali spontanee, profonde e autentiche.
Daniel Gonin (1994), un medico francese che ha condotto degli studi sullo stato di salute in carcere, ci spiega come anche i sensi vengono danneggiati: la vista si riduce perchè priva di luce e di stimoli, impossibilitata a guardare sufficientemente lontano, si perde l’equilibrio di conseguenza, l’udito si accentua sempre di più per compensare il peggioramento della vista, ma questa diventa una sensazione insopportabile, perchè si sta in allarme per ogni rumore, il tatto e il contatto sono sempre di meno, il gusto si accontenta di ciò che fanno passare col carrello, da qui una frase che mi lasciò perplessa e mi fece ridere una volta, quando non capivo bene cosa volesse dire “non ho soldi per fare la spesa e mi mangio il carrello” e la presi alla lettera.
Ma, a parte gli scherzi, di carcere ne risente la sessualità e molte altre sfere della salute, infine l’apparato respiratorio subisce dei danni a causa dell’insufficiente areazione in cella. E sappiamo bene quanto il respiro sia importante per la salute, per la prevenzione, per l’energia e anche contro lo stress.
Yoga della Risata educa il respiro, in modo piuttosto facile. Lo fa pian piano tornare alle sue originarie capacità, si respira diaframmaticamente come sanno i bambini, che non hanno ancora l’ansia di sapere cosa ne sarà della vita.
Ridere è gratis, stavolta non servono soldi.
L’amicizia è gratis, costa però fiducia e impegno.
Caro ragazzo, non devi allarmarti per i rumori, non c’è bisogno, questo Club è un posto sicuro, sei tra amici, gli unici rumori che sentirai saranno risate avvolgenti o parole dolci, tutto questo risuonerà nelle orecchie anche stasera quando ti metterai sdraiato nella tua brandina, sentendo ancora l’energia del gruppo, e sorriderai ripensando a come ti sei scatenato, o alle facce buffe dell’insegnante.
Ricordati che non c’è di che preoccuparsi. Lascia i pensieri fuori, ora va tutto bene. Nessuno ti aggredirà, nessuno ti sfiderà e tutti ti sorrideranno.
Dico carcere e mi ostino a essere ripetitiva e chiamarlo così e non “casa di reclusione”, perchè non basta cambiargli nome per cambiarne la sostanza.
Una casa dove in pochi sanno come ti chiami, dove non si può parlare liberamente scegliendo con chi e quando, una casa dove non si gioca e non si ride quasi mai, in cui non si possono prendere le cose con leggerezza, perchè si deve dimostrare sempre sofferenza come se volesse dire efficacia del trattamento, dove non c’è amore e non c’è perdono, né personalizzazione… ovviamente non è una CASA. È un carcere.
Ma è possibile, per un attimo, dimenticarsene e sentirsi a casa?
L’attesa dei giorni che passano è infinita, ma forse è più piacevole da quando si ha un appuntamento settimanale con la risata. Passa un’ora, un giorno, due giorni… una settimana…. eccoci!
È l’ora del club!
Qui al Club siamo tutti curiosi di sapere come ti chiami, da dove vieni, e non vediamo l’ora di ascoltare qualcosa che vuoi dirci di te.
Solo quello che ti senti. Sì, mi interessa davvero.
Mi interessa davvero sapere se sei stato bene: sei riuscito a rilassarti?
Ti sei divertito?
Tornerai?
Ti aspetto, sono qui, preparerò nuovi esercizi.
Non è anche questo… lo spirito interiore della risata?!
Cinzia Perrotta, Teacher di Yoga della Risata
Sono Teacher di Yoga della Risata ed educatrice. Tre incontri fortunati hanno cambiato me e la mia vita: la pedagogia, lo yoga della risata, il volontariato in carcere.
Cinzia,ti adoro,fai un lavoro meraviglioso,sei una benedizione!!
Un abraccio,Giovanna.