Cari amici ridenti,
oggi vi voglio parlare ancora di Yoga della Risata in carcere, questa volta attraverso questa frase: “Gli altri siamo noi.”
Cosa ti fanno pensare queste parole?
A me tantissime cose. Ad esempio, che, nonostante le differenze di vita, di esperienza, caratteriali, culturali, linguistiche, di genere o religiose, l’essenza umana ci accomuna tutti rendendoci simili, rendendo possibile empatia, comunicazione, confronto, apertura, accoglienza, educazione, rispecchiamento, arricchimento reciproco, conoscenza di sé tramite l’alterità.
Gli altri siamo noi. Mi fa pensare anche, nel caso del carcere ma non solo, che sarei potuta nascere nella famiglia di quella persona anziché nella mia, se non senza famiglia direttamente; sarei potuta nascere in carcere, in un orfanotrofio, in mezzo alla strada di un Paese povero o di un Paese in guerra, e non c’è alcun valido motivo perché questo non sia successo altri e non a me, nessun valido motivo per rispondere alla domanda “perché a me e non a un altro?”. Perché in fondo, cosa cambia? Non credo che nessuno avesse più merito di altri.
Comunque, lasciando stare discorsi troppo filosofici che non saprei portare avanti, “gli altri siamo noi” mi fa entrare in connessione anche con chi è recluso, con chi ha sbagliato e prova un senso di colpa, con chi ha sbagliato e lo rifarebbe, con chi ha sbagliato e nessuno gli dice come può non rifarlo, con chi ha sbagliato in piccolo (no, non sono tutti assassini, anzi), con chi ha sbagliato in grande e non uscirà più, con chi è stato accusato ingiustamente e aspetta ulteriori processi (come diciamo noi ridenti? GROOVENJIII).
Penso cioè, che per ora il carcere riguarda loro, ma non posso essere al 100% sicura che non riguarderà mai me, un familiare, un amico, lo credo improbabile, ma non si può mai mettere la mano sul fuoco. Penso che, anche il peggior delinquente abbia una mamma che mettendolo al mondo ha desiderato di potergli dare il meglio nella vita, e che adesso vorrebbe quantomeno un carcere più umano. E spero che questo possa bastare a chi chiede (con un velo di incomprensione e di giudizio) perché si sceglie di fare Yoga della Risata o altre attività, anche gratuite, proprio con i detenuti. Rispondo a queste persone che, se vogliono, sono disposta a farlo anche a loro.
Risata incondizionata – ridere nonostante
Gli altri siamo noi allora mi fa pensare a cercare di trattare gli altri come vorrei essere trattata io, in quella situazione. Stare a contatto con chi ha fatto grandi sbagli mi fa riflettere sui miei sbagli quotidiani, piccoli ma presenti, mi fa pensare ai momenti in cui sbaglio, che sono i momenti in cui ho più bisogno di amore, in realtà. Se finissi in carcere, non dico che Yoga della Risata mi risolverebbe un granché, anzi forse parteciperei con molta meno forza e convinzione (con meno capacità di ridere nell’avversità) rispetto a quello che vedo fare ai partecipanti del mio Club. Ecco perché, dico che pensavo di andare a insegnare qualcosa a loro, con lo Yoga della Risata, ma sono stati loro a insegnarmi di più, incarnando davanti ai miei occhi questo principio di risata incondizionata indipendentemente da tutto. Forse è stato facile semplicemente perché era un loro bisogno. E alla fine, chi con sbagli piccoli, chi con sbagli grandi, chi con più convinzione, chi con meno convinzione, chi con problemi più piccoli, chi con problemi più grandi, una volta a settimana facciamo tutti la stessa fine… ridere e giocare in quella piccola saletta di Rebibbia, e ovviamente, fare Groovenji ogni due per tre.
Con questo esercizio di immedesimazione che ho fatto per giorni nella mia testa, se mangiavo pensavo a cosa mangiavano loro, se dormivo nel mio letto pensavo a dove dormivano loro, se andavo in bagno pensavo alle loro condizioni igieniche, se parlavo con un amico pensavo al loro isolamento, ecc. grazie a questo profondo sforzo di immedesimazione immagino di aver individuato (o visto semplicemente con più consapevolezza di prima) altri bisogni da soddisfare durante le sessioni, oltre al ridere, giocare, respirare consapevolmente e meditare.
Flessibilità
Il primo bisogno che ho immaginato, è quello di flessibilità. Ho fatto un sogno una volta in cui ero detenuta: era notte, avevo fame e non avevo la spesa, e non potevo chiedere a nessuno un pasto fuori orario, dovevo aspettare e lo stomaco faceva male, tutto era scandito e al di fuori delle mie esigenze, non riuscivo a dormire e mi era venuto in mente di distrarmi e passare il tempo facendo ginnastica, ma poi mi sono ricordata che era meglio conservare le energie o avrei avuto ancora più fame. Ovviamente è un sogno estremizzato, ma mi ha aiutato a individuare meglio il bisogno di flessibilità e controllo. Vuol dire secondo me, per quello che concerne le sessioni, quantomeno variare quanto mi ero fissata nella scaletta in base alle loro reazioni del momento, ai loro feedback, alla loro personalità o all’umore della giornata.
Significa avere degli esercizi di scorta in mente da proporre per non sudare troppo se dopo non è consentito accedere alla doccia, fare uno yoga nidra non troppo lento se nessuno di loro possiede una felpa o non ha potuto portare qualcosa di più pesante per coprirsi, rinunciare a qualche gioco e qualche esercizio se manifestano la voglia di parlare liberamente e conoscerci meglio o parlare di qualcosa che è successo, accelerare la sessione per lasciarmi uno spazio all’inizio per accogliere un detenuto inserito all’improvviso, finire qualche minuto prima se qualcuno lavora e deve portare il vitto (perché si cena molto presto), rinunciare ad alcune risate e fare la risata silenziosa se c’è un caporeparto che quel giorno non tollera il rumore, ecc.
Sentirsi accettati
L’altro bisogno è quello di sentirsi accettati, dal momento che sai oppure non sai la loro storia e il loro reato. Diciamo che così come pratichiamo la risata incondizionata, io mi rivolgo incondizionatamente a loro, indipendentemente dalla storia, dal reato, e da chi mi troverò davanti, che è sempre una sorpresa. Così come in ogni sessione con chiunque sia, il Leader ha il compito di guardare negli occhi o ridere più o meno con tutti almeno una volta, e di scambiare una parola un po’ con tutti senza trascurare nessuno, che altrimenti se ne risentirebbe o ci resterebbe male senza che tu l’abbia fatto consapevolmente e volontariamente, in carcere bisogna dare ancora più conferme, come immagino avvenga anche per chi fa le sessioni coi bambini, che egocentricamente hanno il bisogno di essere riconosciuti, visti, e considerati dall’adulto di riferimento. In carcere c’è bisogno di sentirsi accettati: il proprio auto-giudizio, o l’abitudine agli sguardi diffidenti delle persone, li porta proprio a voler ricevere delle piccole conferme, che non si esprimono solo a parole, come ad esempio “bravo, stai migliorando con la risata” , “ciao, mi sono accorta che stai meglio, oppure che oggi stai un po’ giù, oppure che la volta scorsa non sei venuto, che sei dimagrito tanto” o magari “ehi, sono contenta di rivederti” o “cosa ti piacerebbe fare la prossima volta?”, ma si esprime anche come accoglienza non verbale.
Sappiamo bene quanto linguaggio non verbale utilizziamo nello Yoga della Risata, fatto di gesti, abbracci, sguardi, tono della voce, sorrisi.
Anche preparando accuratamente una sessione, perché sia sempre bella e ogni volta dia qualcosa di nuovo, traspare il nostro averli accettati e tenerci, senza stare lì tanto per fare. Traspare il tempo che abbiamo impiegato per imparare un nuovo gioco o preparare un nuovo Yoga Nidra o per scegliere la musica più adatta ad accompagnare le sessioni.
Inoltre, un Leader di Yoga della Risata che si adopera in carcere, deve sapere che entrerà a pieno nelle loro vite, cioè che sarà coinvolto oltre quello che riguarda strettamente la disciplina e il progetto.
Avranno voglia di raccontarsi, di denunciare tante situazioni che vivono, e un Leader deve imparare come un equilibrista la difficile arte di accogliere quello che hanno bisogno di dire, senza cedere troppo alla curiosità, senza trasformare la sessione in un incontro in cui si parla e non si ride, ma neanche in cui si ride e poi si evita accuratamente altri scambi e contatti.
Possono chiedere favori in più, come interferire con un educatore, o chiamare un familiare, telefonare all’avvocato e portargli qualcosa, una volta che si fidano. Sta al Leader appunto, capire cosa fare.
Evadere col pensiero
Un altro bisogno che io riscontro è quello di evadere col pensiero. Ben venga anche qualche risata a tema, la risata delle manette, la risata della pistola, la risata della liberazione, la risata delle chiavi, la risata che si vuole… ma io personalmente preferisco proporre le risate che si proporrebbero ai bambini!
Il risultato è che per due ore, come mi dicono spesso, ci si scorda di essere in carcere e si sta altrove (succede sia durante lo Yoga Nidra, sia durante il flusso del gioco). Nessuno ha mai fatto una smorfia quando ho esordito dicendo che avremmo giocato come i bambini, anzi qualcuno ha proposto qualche gioco di infanzia e ha giocato con tutte le sue forze, “con la serietà di un bambino che gioca”.
Ma i bisogni più grandi, sempre a mio modo di vedere, riguardano senz’altro 4 punti:
– la legge della gentilezza (opposta alla legge del più forte che vige solitamente),
– il clima di fiducia,
– la sensazione di sicurezza/protezione,
– capire che tutto questo è possibile soltanto lavorando seriamente tutti insieme, con impegno, responsabilità e maturità.
Questi sono i 4 punti che voglio approfondire nel dettaglio nel prossimo articolo, sia come riflessione, sia come indicazioni pratiche per costruire dal nulla un contesto e un clima del genere, e parlare anche dei segnali che vi permetteranno di capire di essere riusciti a favorire delle dinamiche che rendono il vostro Club così attento, così bello, così delicato, così all’altezza dei bisogni a cui può rispondere in carcere.
Quindi continuate a seguire la rubrica, e commentate per farmi sapere le vostre osservazioni o domande! Grazie e buone risate a tutti!
Sono Teacher di Yoga della Risata ed educatrice. Tre incontri fortunati hanno cambiato me e la mia vita: la pedagogia, lo yoga della risata, il volontariato in carcere.
Grazie mille per i tuoi articoli. Ho presentato il progetto e domanda per entrare in un carcere della mia zona. Ho proposto sessioni sia per i detenuti che per le guardie. Sembra sia, per ora, stata accolta solo quella per i detenuti. Farò tesoro di tutti i tuoi consigli e della tua esperienza.
Cara Cinzia non potevi scrivere niente di più intenso e di più bello. Vorrei tanto che tu fossi qui vicina per ringraziarti con un abbraccio. La profondità delle tue parole non è un’arte, è l’Arte di Vivere. E non aggiungo altro per non mettere alla prova la tua imnata timidezza. Grazie
Ciao mi chiamo Teresa da Catanzaro,faccio anche io due ore settimanali al minorile,Grazie per gli utili consigli
Grazie di cuore a tutti per i commenti. Prima di conoscere Cinzia ignoravo tutte le possibilità e la bellezza che il lavoro in carcere ci può dare. Lei è veramente un esempio ed una grande esperta. La stimo dal profondo e le sono grata per il contributo che sta portando.