Una nuova ricerca sta esplorando come il “phubbing” – ignorare qualcuno a favore del nostro cellulare – distrugga le nostre relazioni e cosa possiamo fare al riguardo.
Phubbing è l’ignorare gli altri a favore dei nostri cellulari. Ci siamo passati tutti, sia come vittime che come carnefici. Potremmo anche non accorgerci più della cosa, è divenuta ormai una consuetudine. Tuttavia, degli studi stanno rivelando il profondo impatto che il phubbing può avere sulle nostre relazioni e sul nostro benessere.
C’è una sorta di ironia nel fenomeno del phubbing. Quando guardiamo i nostri telefoni, spesso lo facciamo per collegarci con qualcuno attraverso i social network o rievocando ricordi sfogliando le foto. Purtroppo, però, tutto questo può turbare gravemente i nostri rapporti personali attuali, che risultano essere anche i più importanti.
La ricerca dimostra che il phubbing non è innocuo e gli studi condotti finora indicano anche la via per costruire un rapporto più sano con i nostri telefoni e con le persone.
Conseguenze del phubbing
In uno studio denominato “La mia vita è diventata una grande distrazione a causa del mio cellulare”, Meredith David e James Roberts suggeriscono che il phubbing può portare al declino in uno dei rapporti più importanti che possiamo avere da adulti: quello con il nostro partner di vita.
Secondo il loro studio, eseguito su 145 adulti, il phubbing riduce la soddisfazione coniugale, in parte generando discussioni sull’uso del telefono. Gli scienziati hanno scoperto che il phubbing, riducendo la soddisfazione coniugale, influenza la depressione del partner e la soddisfazione per la vita. Uno studio supplementare, condotto da scienziati cinesi, ha valutato 243 adulti sposati ed ha ottenuto risultati simili: il phubbing tra i partner, poiché associato ad una minore soddisfazione coniugale, ha contribuito ad aumentare il senso di depressione.
Il Phubbing definisce anche le nostre amicizie casuali. Non sorprende che chi lo ha subito veda gli utenti del telefono come persone meno gentili. Non dimentichiamo che siamo animali sociali.
Quando l’attenzione visiva di qualcuno vaga, sappiamo intuitivamente ciò che gli studi sul cervello hanno dimostrato: anche la mente vaga.
Percepiamo mancanza di ascolto, disprezzo, senso di essere ignorati.
Una serie di studi ha dimostrato che anche solo il fatto di avere un telefono spento vicino a voi durante una conversazione interferisce con il senso di connessione con l’altra persona e sulla qualità della conversazione.
Questo fenomeno è particolarmente significativo durante le conversazioni importanti – si perde l’opportunità di creare una vera e autentica connessione con l’altro, principio base di qualsiasi relazione.
Infatti, molti problemi legati all’interazione mobile riguardano la distrazione dalla presenza fisica di altre persone.
Secondo questi studi, le conversazioni senza smartphone vengono classificate come di qualità significativamente superiore rispetto a quelle avvenute nelle vicinanze di uno smartphone, indipendentemente dall’età, dall’etnia, dal sesso o dall’umore degli interlocutori. Percepiamo maggiore empatia quando gli smartphone non sono presenti.
Quando guardiamo i nostri cellulari, non stiamo prestando attenzione alle altre persone e non stiamo leggendo le loro espressioni facciali; non percepiamo le sfumature nel loro tono di voce e nemmeno prendiamo atto della loro postura.
Non c’è da meravigliarsi che il phubbing danneggi le relazioni.
Come reagisce chi ha subito il phubbing
Come tendono a comportarsi coloro che hanno subito il phubbing?
Secondo uno studio, essi stessi iniziano a prestare attenzione ai social media. Probabilmente, lo fanno per cercare l’appartenenza al gruppo o per distrarsi dalla sensazione di essere socialmente trascurati. Grazie alla ricerca sull’imaging cerebrale sappiamo che l’esclusione viene percepita e registrata come un vero e proprio dolore fisico nel cervello.
Le persone vittime di phubbing tendono a sviluppare maggiormente un attaccamento malsano ai loro smartphone, incrementando in tal modo i sentimenti di stress e depressione.
Uno studio su Facebook mostra che il modo in cui interagiamo sul popolare social network influisce sulla nostra felicità. Quando usiamo i social media solo per visualizzare passivamente i post altrui, la nostra felicità diminuisce. Un altro studio ha dimostrato che i social media ci rendono in realtà più soli.
“È ironico che i telefoni cellulari, originariamente progettati come strumento di comunicazione, possano in realtà ostacolare piuttosto che favorire la connessione interpersonale“, scrivono David e Roberts nel loro studio “Phubbed and Alone”. I loro risultati suggeriscono la creazione di un circolo vizioso: Un individuo vittima di phubbing si rivolge ai social media che indurranno un comportamento compulsivo che li porterà, presumibilmente, ad ignorare gli altri, perpetuando e normalizzando la pratica e il problema del “phubbing”.
Ma perché le persone si abituano al phubbing?
Non sorprende che la paura di essere isolati e la mancanza di autocontrollo portino al fenomeno del phubbing. L’elemento chiave è la dipendenza dai social media, dal telefono cellulare e da internet; quest’ultima ha correlazioni cerebrali simili a forme fisiologiche come la dipendenza da eroina o altre droghe ricreative. L’impatto di questa dipendenza è particolarmente preoccupante per i bambini, il cui cervello e le cui capacità sociali sono ancora in fase di sviluppo.
https://www.facebook.com/danielalucangeliofficial/videos/339234710173753/
Bellissimo e illuminante questo video della professoressa Lucangeli. Sblocchiamo il cellulare almeno 80 volte al giorno in media e ci giocherelliamo per guardare se abbiamo ricevuto like o messaggi 2600 volte al giorno. Lo facciamo anche davanti ai nostri figli, quando mangiamo, quando siamo a letto: i nostri figli, attraverso i neuroni specchio, comprendono che noi riceviamo benessere dai cellulari e ne imparano la dipendenza.
Nicholas Kardaras, ex professore clinico di Stony Brook Medicine e autore di Glow Kids, si spinge fino a paragonare il tempo passato davanti agli schermi ad una sorta di cocaina digitale. Consideriamo questo: il desiderio di controllare i social media è più forte di quello per il sesso, secondo una ricerca di Wilhelm Hoffman dell’Università di Chicago.
Questi risultati non sorprendono: decenni di ricerche hanno dimostrato che il nostro più grande bisogno dopo cibo e rifugio è la creazione di connessioni sociali positive con altre persone.
Siamo esseri profondamente sociali per i quali il senso di appartenenza e di connessione sono fondamentali per la salute e la felicità.
(In realtà, la mancanza di questo è peggio di fumare, avere la pressione alta, essere obesi).
Così, a volte, sbagliamo. Cerchiamo una connessione sui social media a discapito dell’occasione in colloquio a tu per tu, in grado di creare vera intimità.
Come smettere di compiere phubbing
Per prevenire il phubbing, essere consapevoli è l’unica soluzione. Ciò che ci guida è il desiderio di connessione. Anche se non è possibile controllare il comportamento altrui, ognuno di noi ha la capacità di modellare qualcosa di diverso.
La ricerca di Barbara Fredrickson (descritta nel suo libro Love 2.0) suggerisce che l’intimità avviene in micro-momenti: parlare a colazione, uno scambio di parole con un corriere, il sorriso di un bambino. La chiave è la presenza e la consapevolezza. Uno studio ha dimostrato che siamo più felici quando siamo presenti, a prescindere da ciò che stiamo facendo. Possiamo essere presenti con la persona che abbiamo di fronte a noi in ogni momento, non importa chi.
Gli studi di Paula Niedenthal rivelano che la forma più essenziale e intima di connessione è il contatto visivo. Eppure i social media sono principalmente verbali. Ricerche condotte da scienziati come il Dacher Keltner dell’SGC e altri hanno dimostrato che la postura e le più minute espressioni facciali (il restringimento delle labbra, le zampe di gallina degli occhi sorridenti, le sopracciglia rovesciate in simpatia) comunicano più delle nostre parole.
Cosa più importante, sono alla base dell’empatia – la capacità di percepire ciò che un’altra persona sta provando – che è così critica per l’autentica connessione umana. La ricerca dimostra che l’altruismo e la compassione ci rendono anche più felici e sani, e possono anche allungare la nostra vita. La vera connessione si basa su presenza, apertura, osservazione, compassione e, come Brené Brown ha splendidamente condiviso nel suo discorso TED sulla vulnerabilità e nel suo libro più venduto La forza della fragilità.
Ci vuole coraggio per connettersi con un’altra persona autenticamente, ma è anche la chiave per la realizzazione.
Cosa fare se si è vittima di phubbing
Che succede se si è vittima di phubbing? Pazienza e compassione sono fondamentali in tal caso. Comprendere che il phubber non sta, probabilmente, agendo con intento dannoso, ma è piuttosto vittima di un desiderio (a volte irresistibile) di connessione. Il suo obiettivo non è l’esclusione; al contrario, desidera l’inclusione. Inoltre, uno studio sociologico importante ha dimostrato che la solitudine sta aumentando in maniera allarmante nella nostra società.
L’età e il sesso hanno inoltre un ruolo importante nelle reazioni delle persone al phubbing. Secondo gli studi, i partecipanti più anziani e le donne utilizzano in modo più limitato il telefono, nella maggior parte delle situazioni sociali. Gli uomini si differenziano dalle donne per il fatto di considerare le telefonate più appropriate in quasi tutte le situazioni, comprese quelle di intimità, e questo è assai sconvolgente. Allo stesso modo, in ambito scolastico, gli studenti maschi trovano il phubbing molto meno preoccupante rispetto alle loro controparti femminili.
Forse ancora peggio della disconnessione dagli altri, tuttavia, la dipendenza da Internet e il phubbing ci staccano da noi stessi.
Immersi in un mondo virtuale, ci emozioniamo su uno schermo, sforziamo inutilmente la vista, e ci disallineiamo dalle nostre esigenze fisiologiche come il sonno l’esercizio fisico, perfino il cibo.
Uno studio inquietante indica che per ogni minuto che passiamo online nel tempo libero, non stiamo solo compromettendo le nostre relazioni, ma stiamo anche perdendo tempo prezioso per la cura di noi (sonno, attività domestiche) e per la produttività.
La prossima volta che sei in compagnia di un altro essere umano e ti senti tentato di utilizzare il cellulare, non lo fare. Guarda l’interlocutore negli occhi e ascolta ciò che ha da dire.
Fallo per lui, fallo per te stesso, fallo per rendere il mondo un posto migliore.
Fonte EMMA SEPPALA, https://greatergood.berkeley.edu/article/item/what_is_your_phone_doing_to_your_relationships#gsc.tab=0
Master Trainer di Yoga della Risata e Ambasciatrice di Yoga della Risata nel mondo, sto formando centinaia di Leader e Teacher in tutta Italia. Ho contribuito all’apertura di oltre 250 Club della Risata e conduco sessioni in tutte le applicazioni, soprattutto nel mondo aziendale.
Sono la prima trainer italiana di Heartmath® e mi occupo di gestione dello stress e delle emozioni con la pratica della coerenza cardiaca. Sono speaker e formatrice, appassionata di risata, intelligenza del cuore e felicità. Ho fondato La specie felice insieme al mio consorte Matteo Ficara. Sono autrice del libro Ridi Ama Vivi, bestseller per Bur Rizzoli
Ciao Lara, da tempo ho osservato crescere la dipendenza dai cellullari e dai social media, viaggiando giornalmente con i mezzi pubblici a Roma, sui treni…uscendo la sera con gli amici, guardando i giovani adolescenti,i bambini e ahimè i genitori, e come come questo fenomeno rende le persone più sole e incapaci di creare relazioni autentiche. Ultimamente mi sono accorta che anche io ne stavo diventando dipendente, ho deciso di staccare con i social, di lasciare il cellulare a casa, così come spesso faccio con le sigarette.
Ciao Lara,
Durante l’estate mi sono allontanata da una amica, perche’ ogni nostra uscita stava sempre con il telefono in mano. Il desiderio di incontro, di scambio, non lo percepivo più da parte sua…pero’ era la prima a mandarmi il buongiorno in rete, cosi come la buonanotte, raccontarmi se aveva mangiato e dove stava andando. Sentivo che più che la mia compagnia, aveva bisogno di buttare in un contenitore la sua solitudine. Penso sempre a quanto mi dava fastidio vederla saltare da un gruppo ad un altro, rispondere a manca e a destra, quando capita a me di prendere il telefono,
mentre sono con altri e allora lo metto via.